Corruzione. L’Italia è percepita come una nazione molto corrotta. E’ questo il responso del Transparency International Index. Peggio dell’Italia solo Grecia e Bulgaria. Un bel risultato per una nazione che ha addirittura un’Autorità Nazionale Anticorruzione. Ed ha al suo attivo una legge proprio sull’argomento. Ma la corruzione percepita è comunque alta. Si parla di settore pubblico e politico. L’anno di riferimento è il 2016.
Corruzione: siamo veramente ultimi della classe?
L’Italia, come si legge dai dati diffusi segna un miglioramento del suo indice CPI ovvero l’indice di percezione della corruzione. Esso va letto come un range da 0 (molto corrotto) a 100 (per nulla corrotto). Il belpaese ha uno score di 47. Migliore di qualche anno fa ma ancora troppo basso per una nazione che si sta impegnando (sarà davvero così?) nella lotta alla corruzione.
Tuttavia qualche passo in avanti è stato fatto. 12 posizioni del ranking mondiale dal 2012, anno della legge anticorruzione, ad oggi. Nel 2016 si è al 60esimo posto. Tuttavia siamo molto indietro ai paesi virtuosi del Nord Europa. Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia e Svezia sono costantemente sopra agli 88. Non è un caso. Queste nazioni hanno una forte legislazione sui diritti civili, sulla trasparenza della pubblica amministrazione e all’accesso delle informazioni.
Ma il modello non è applicabile all’Italia?
Il modello è applicabilissimo all’Italia. Serve innanzitutto una classe politica che abbia ben chiari gli obiettivi di corruzione, trasparenza e diritti civili. Serve avviare un cambiamento che, nel panorama politico italiano, si stenta a vedere.
Cantone con la sua autority, più volte, ha manifestato delle perplessità sul modo di condurre l’attività pubblica. Anche la legge anticorruzione e sulla trasparenza sembra solamente l’applicazione di una serie di passaggi burocratici che non formano una classe dirigente preparata sul tema. Spesso basta un responsabile della trasparenza, preparato, per risolvere il problema. Ma il sistema politico mal volentieri è propenso a seguire “i consigli” o le “procedure” talvolta imposti da queste figure. Quest’ultime in molti casi sono costrette alle dimissioni perché non accondiscendenti al “volere politico”.
Cambierà mai la situazione in Italia? Ci si augura di si. Anche se le perplessità sono molte.